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Può apparire un paradosso, ma è stata anche la crisi determinata dalla pandemia a spingere le imprese a fissare negli ultimi anni come non rinunciabili gli investimenti legati alle responsabilità sociali, economiche e ambientali, oggi identificate come i tre pilastri della sostenibilità con l’acronimo ESG (Environmental, Social, Governance).

Una tendenza partita nel “lontano” 2001, quando venne pubblicato il celebre Libro Verde della Commissione Europea sulla responsabilità sociale delle imprese (CSR), fino ad arrivare ad una decisiva adesione ai valori della sostenibilità: una vera e propria necessità da quando sono completamente cambiati scenari ed equilibri mondiali, il clima, le aspettative dei mercati e delle persone, e che oggi riguarda la crescita di tutti i comparti economici.

Secondo i dati pubblicati dall’Osservatorio Socialis nel Rapporto sull’impegno sociale, economico e ambientale delle aziende in Italia, il valore degli investimenti è più che quintuplicato negli ultimi 20 anni, principalmente espresso verso il risparmio delle risorse, la salvaguardia dell’ambiente, lo sviluppo del capitale umano, la collaborazione con le università, la lotta alla corruzione.

Un record di 2 miliardi e 164 milioni di euro complessivi (aziende con + di 80 dipendenti) che va interpretato come un cambio di passo, uno sguardo verso il futuro, una forte propensione a considerare la sostenibilità indispensabile e vantaggiosa, se pianificata, ben orientata e misurata costantemente.

Lo richiede il mercato, lo richiedono i dipendenti, i clienti, i fornitori, e a breve lo richiederà anche la nuova normativa in arrivo, perché la rendicontazione di informazioni non finanziarie sarà estesa per legge ad almeno 6.000 PMI italiane.

Integrare la sostenibilità nel piano economico e industriale, metterla a sistema, condividerla e mantenerla sempre verificabile e misurabile è dunque un approccio non più rimandabile.

Nessuno dei tre ambiti ESG dovrà prevalere sugli altri. E per raggiungere l’equilibrio dobbiamo far crescere le attività di formazione continua, la coerenza del nostro agire, la condivisione che motiva, l’ascolto degli stakeholder, la comunicazione e l’informazione di quello che facciamo, la programmazione delle nostre attività, la misurazione degli impatti per il territorio e per le comunità.

Un passaggio che l’Osservatorio Socialis, in collaborazione con diversi atenei italiani, sostiene con lo standard digitale denominato CSR Check, che attraverso 6 macroaree e 34 indicatori permette di conoscere il posizionamento negli ambiti operativi della sostenibilità, individuando il percorso più adatto a ciascuna realtà e mettendo a sistema gli investimenti più aderenti agli obiettivi di crescita sostenibile.

A svolgere il ruolo di faro l’Agenda 2030, con i suoi 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, tra i quali ben 6 sono obiettivi ambientali (obiettivo 6: acqua pulita e servizi igienico sanitari; 7, energia pulita e accessibile; 11, città e comunità sostenibili; 13, lotta al cambiamento climatico; 14, la vita sott’acqua; 15, la vita sulla terra…).

E gli standard di rendicontazione e di valutazione d’impatto GRI (Global Reporting Initiative), composti da 2 blocchi, uno trasversale a tutti gli argomenti di sostenibilità, e tre specifici sulle tematiche ESG, che negli ambiti ambientali vanno a monitorare e riguardare, attraverso circa 50 indicatori, il cambiamento climatico, l’inquinamento, l’acqua e le risorse marine, la biodiversità e gli ecosistemi, l’uso di risorse dell’economia circolare.

“Conta ciò che si può contare, misura ciò che è misurabile e rendi misurabile ciò che non lo è” Galileo Galilei

 

Roberto Orsi è Direttore Responsabile dell’Osservatorio Socialis, hub mediatico e centro studi ESG, convenzionato con le Università di Udine, Roma Sapienza e Tor Vergata, Chieti e Pescara, Napoli Parthenope, Milano Bicocca. È Senior Auditor Supervisor della piattaforma digitale di misurazione CSR–Check for Sustainability Ranking.